Bollettino del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno

LA RICERCA

Unione Italiana - Fiume Università Popolare - Trieste

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Giugno 2017

Sommario

EDITORIALE 1. Scriverelastoria DI NicoLò SPONZA

SAGGIO

2, La campagna antimalarica del 1903 nella Provincia dell'Istria

pi Rino CIGUI

SAGGIO

5 DaPaganoaoggi: architettura, università e c pi FERRUCCIO CALEGARI

ittà

SAGGIO

8 Ilcontrollo della rete ferroviaria istriana nel biennio 1919/20

DI Diego HAN

SAGGIO 12. Giacomo Fumis: erede di Gregorio Draghicchio alla

Ginnastica di Trieste e irredentista

costretto all'esilio a Bresc DI ALBERTO ZANETTI LORENZ

Società

ia

ETTI

SAGGIO 14 Egon Meden e la passi il calcio. Come e dove si sessant'anni fa DI FRANCO STENER

one per giocava

20. Notiziario - Presentazion pi Marisa FERRARA

21. Notizie e visite al CRS

22. Donazioni al nostro Istituto

23 Partecipazione dei ricercatori

a convegni e seminari

24. Nuovi Arrivi in Biblioteca

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La Ricerca - n. 71

Unione Italiana Centro di Ricerche Storiche di Rovigno

REDAZIONE ED AMMINISTRAZIONE:

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Marisa Ferrara, Nives Giuricin,

Raul Marsetiè, Orietta Moscarda Oblak, Alessio Radossi, Giovanni Radossi, Rino Cigui, Nicolò Sponza, Silvano Zilli

DirETTORE RESPONSABILE Giovanni Radossi

REDATTORE Nicolò Sponza

Silvano Zil

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Stampato c dell'Univers

secondo le

COORDINATORE

PROGETTO GRAFICO & STAMPA Happy Digital snc - Trieste

RATO

Massimo Radossi

on il contributo ità Popolare di Trieste

© 2017 Proprietà letteraria riservata

leggi vigenti

Pubblicazioni CRS 1 edite nel tET 2016-2017

ATTI XLVI QUADERNI XXVII

Libia di stampa

QUADERNI XXVIII

RICERCHE SOCIALI 23

AFFRESCHI MEDIEVALI IN ISTRIA di E. Cozzi

ISTOCNI JADRAN. POVIJESNI ATLAS JEDNOG SREDOZEMNOG PRIMORUA di E. Ivetic

IL “POTERE POPOLARE” IN ISTRIA (1945-1953) di O. Moscarda Oblak

| GIORNI A WAGNA NELLA CRONACA DEL LAGERZEITUNG (1915-1918) = DANI U WAGNI PREMA PISANUU LISTA LAGERZEITUNG (1915.-1918.) di J. Vretenar e D. Orlovié

LA RICERCA n. 69 (Bollettino)

LA RICERCA n. 70 (Bollettino)

sai EGIDIO VENT

DRIATIC PICO ORIENTALE

po

L'Editoriale

LA RICERCA N. 71...GIUGNO 2017

È

di Nicolò Sponza

Scrivere la storia

Nello scrivere la storia del territorio, studiando le

sue molteplici piccole sfaccettature, riscoprendo e rivalutando personaggi e avvenimenti alle volte anche minori e secondari, verrebbe da dire inevitabilmente

e logicamente caduti nell’oblio della storiografia, si scopre che questi sono spariti, sono stati cancellati, il più delle volte volutamente, non perché insignificanti

e banali ma in quanto scomodi. È nelle piccole cose, nelle apparentemente insignificanti distorsioni, che

si concretano i grandi temi della storia, si delineano

e portano alla luce umanità e verità che ritenevamo univoche ma che spesso ci stupiscono in quanto dotate di inaspettate complessità.

Storie nella storia, capsule spazio-temporali, che come 1 fiumi carsici si inabissano improvvisamente per poi inaspettatamente riaffiorare in altri luoghi (tempi). Storie dotate di dinamiche intrinseche, di sviluppi inaspettati, alle volte anche contraddittori se confrontate con la storiografia mainstream dei rispettivi corpi nazionali.

Dimensione storiografica, questa, di grande interesse soprattutto se valutata all’interno di un universo territoriale posto a cavallo di mondi culturali e linguistici, religiosi e ideologici contrapposti, talvolta addirittura belligeranti, che hanno nel tempo tracciato nuovi e più nuovi confini portando alla ribalta nuovi e più nuovi stati, ridisegnando la nostra condizione antropica di italiani dell’ Adriatico orientale. Abbiamo detto dimensione storiografica, indubbiamente interessante, che offre innovativi percorsi di ricerca, ma nel contempo volutamente sottovalutata in quanto la Storia, quella che si insegna a scuola, presta attenzione, si concentra quasi esclusivamente su avvenimenti e personaggi se, e solo se, fondativi per stati e nazioni. La quotidianità non viene vagliata, non si prende in esame il tempo, il vivere nel tempo del singolo individuo. Non

viene ponderato il contributo dell’uomo, le conseguenze della storia sull’uomo, ossia su quella dimensione che potremmo definire come l’eroismo del quotidiano. Eroismo, la Comunità Nazionale Italiana ne è testimone, che si oppone al cambiamento, all’assimilazione, preservando la propria identità

anche quando a cambiare sono intere tradizioni di vita cancellate dai vincitori, compagni o signori, di turno. Con questo spirito, eludendo ogni genere di confine materiale e mentale, il nuovo numero de La Ricerca propone una serie di saggi e interventi nell’intento di dare una visione a tutto tondo del territorio adriatico. Con il primo contributo, La campagna antimalarica del 1903 nella Provincia dell’Istria, Rino Cigui continua la sua ricerca nel campo della storia della medicina; Ferruccio Callegari con un “famoso sconosciuto”, Da Pagano a oggi: architettura, università e città,

Diego Han ne // controllo della rete ferroviaria istriana nel biennio 1919/20 valuta la situazione politica creatasi in Istria dopo la firma dell’ Armistizio di Villa Giusti; seguono due scritti su sport e politica in un territorio di confine, quello di Alberto Zanetti Lorenzetti, Giacomo Fumis: erede di Gregorio Draghicchio alla Società Ginnastica di Trieste e irredentista costretto all’esilio a Brescia, e quello di Franco Stener, Egon Meden e la passione per il calcio. Come e dove si giocava sessant’anni fa.

Saggio

La campagna antimalarica

del 1908 nella Provincia dell'Istria

In Istria, la seconda metà del XIX fu caratterizzata

da tutta una serie d’iniziative intraprese dal governo austriaco e dalla Dieta Provinciale istriana orientate all’individuazione dei motivi che generavano la malaria e alla messa a punto di strategie terapeutiche e profilattiche atte a contrastarne la diffusione. Tali sforzi, però, sortirono solo in parte gli effetti desiderati, per cui nel secondo Ottocento, come agli albori del nuovo secolo,

la malaria continuò a costituire per la penisola il “più grande malore che costantemente e da secoli affligge la sua popolazione, che sottrae tante forze vive al lavoro specialmente dei campi, che debilita nei genitori i figli e questi e quelli precocemente uccide”.

AI principiare del XX secolo i comuni istriani malarici erano Albona, Barbana, Canfanaro, Dignano, Fianona, Gimino, Ossero e Sanvincenti. Febbri malariche di

grave intensità si manifestavano annualmente in quel di Antignana, in parte dei comuni di Bogliuno e Pisino, a Cherso, Orsera, Parenzo, Pola, Umago, Valle, Visignano e nell’isola di Veglia, laddove la malattia colpiva in forma più leggera i comuni di Capodistria (Lazzaretto), Decani, Isola (Corte d’Isola), Pinguente, Pirano (le valli di Strugnano, Sicciole, Salvore e Castelvenere), Cittanova, Buie (Crassiza), Grisignana, Verteneglio, Portole (Valle di Cepich), Montona (versanti del Quieto) e Visinada (S. Domenica)”. Era comunque l’Istria meridionale a essere interessata maggiormente dal morbo, che tra l’estate e l’autunno 1902 infierì nei villaggi di Morgani e Morosini (comune di Canfanaro) dove furono registrati settanta rispettivamente cinquanta casi d’infezione; l’anno dopo la malaria si ripresentò nello stesso comune colpendo principalmente i casali di Sossici, Matohanzi, Braicovici, Putini, Sorici, Momarin e Zonti, che contarono in tutto 78 ammorbati, ma grazie all'impiego dei preparati di chinino il contagio fu prontamente debellato?. Un’analoga epidemia, che raggiunse il suo apice a settembre, scoppiò nel 1905 a Castelnuovo Arsa provocando 174 casi di febbre malarica, dei quali 57 furono in seguito attribuiti al tifo causato dall’uso di acqua contaminata contenuta in un serbatoio. Quell’anno, per altro, gli esami microscopici rivelarono 136 casi di

Pisino - Panorama

malaria nell’Istria meridionale, dei quali 32 imputabili a infezioni terzenarie, 25 ad infezioni quartanarie, 77 alle cosiddette infezioni estivo-autunnali e 2 casi di infezioni miste estivo-autunnali e quartanarie*.

Per combattere l’infezione, ormai dilagante, fin dai primi anni del Novecento la Giunta provinciale di concerto con l’i. r. Luogotenenza avviò una vigorosa azione antimalarica “convinta della urgente necessità di tentare ogni via che potesse condurre allo scopo supremo di liberare l’Istria”5 e, visti gli ottimi risultati ottenuti nel 1901 dal dottor Koch alle Brioni, “inabitabili per l’aria infame” fino a pochi anni prima, fu deciso di estendere l’uso del chinino ai comuni contermini di terraferma e

a quelli di Ossero e Punta Croce sull’isola di Cherso, regolarmente desolati dalle febbri. Gli effetti ottenuti furono però contrastanti: se nelle due ultime località

essi diedero 1 risultati sperati, nei comuni censuari di Stignano, Fasana e Peroi furono insoddisfacenti, talvolta incerti e, in singoli casi, addirittura contradditori, giacché fu rilevata la mancanza di plasmodi in individui malarici e la presenza di parassiti nel sangue di persone dichiaratamente sane.

Nel 1903 una nuova campagna di profilassi antimalarica fu estesa a una parte del distretto politico di Pola, al comune di Dobasnizza nell’isola di Veglia e alle località di Belvedere e Beligna in quel di Aquileia; da quest’operazione rimase però esclusa tutta la fascia costiera da Rovigno a Punta Salvore, che fu inclusa nell’opera di bonifica appena dopo il primo conflitto mondiale?.

Il territorio sottoposto all’azione profilattica, secondo le disposizioni del Ministro dell’interno, fu diviso in sette “distretti di risanamento”, cinque dei quali dislocati

LA RICERCA N. 7

1...GIUGNO 2017

SENTITA Verteneglio

nell’agro di Pola. Il primo, situato a settentrione della città, comprendeva le località di Lavarigo, Monticchio con Radecchi e Stanzia Wasserman e fu assegnato al dott. Bernardo Schiavuzzi, i. r medico distrettuale superiore, coadiuvato da due agenti stipendiati e dal parroco di Lavarigo. Quest’area si presentava accidentata, priva

di sorgenti e con poche pozzanghere che servivano da abbeveratoi, mentre la fitta copertura vegetale con piccole raccolte d’acqua protette dall’evaporazione costituiva un ottimo vivaio e rifugio per gli anofeli”.

Il secondo “distretto” includeva le località di Stignano con la frazione di Podol e le stanzie Lecovich e Vareton: in questo caso il servizio medico fu prestato dal dott. Jens Donanberger, i. r. assistente sanitario dimorante a Pola, coadiuvato dal delegato municipale e senza un agente che si assumesse il servizio gratuitamente. La conformazione geologica del territorio era molto simile a quella del primo distretto tranne che per la vegetazione meno folta; numerosi erano 1 ristagni d’acqua superficiali, il maggiore dei quali, il lago Zonchi, con i suoi quaranta metri di diametro fungeva da abbeveratoio per gli animali. L'acqua potabile invece si estraeva da un pozzo profondo 42 metri, laddove una cisterna in mezzo al paese, pericoloso focolaio di zanzare, forniva l’acqua per il lavatoio.

Fasana, con le frazioni Stanzia Fragiacomo, Val

Bandon, Sorida, Stanzia Jaschi, Marana, Lusinamoro

e Peroi costituiva il terzo ‘distretto di risanamento”;

qui il servizio medico fu affidato al dott. Gino Cosolo, residente a Fasana, assistito da un agente stipendiato

e da alcuni volontari, ‘i quali però per diffidenza e perché sobillati fecero poco buon servizio”*. Il terreno era calcareo, ricco di fessure e coperto di terra rossa argillosa, con una misera copertura vegetale dove a stento cresceva l’erba e la macchia. La maggior parte delle pozzanghere erano scavate ad uso di abbeveratoi e molte altre si formavano dopo ogni pioggia. Nel territorio di Fasana vi erano inoltre numerosi pozzi aperti, che davano un’acqua più o meno ricca di cloruro di sodio.

Il quarto distretto dell’agro polese interessato dalla campagna antimalarica comprendeva la zona del forte di Barbariga, dal confine di Peroi con tutte le stanzie situate

nei dintorni del forte, appartenenti, per la maggior parte, al comune di Valle. Del servizio medico fu incaricato

il dott. Ottone Lenz, “medico dell’amministrazione a Brioni”, al quale l’i. r. Marina da guerra affidò anche

la cura della guarnigione dei forti di Barbariga. Le condizioni geologiche erano analoghe a quelle degli altri distretti, con pozzanghere, fossi aperti e una cisterna romana che assieme alla macchia formavano i vivai e i rifugi degli anofeli?. L'ultimo “distretto di risanamento” della Polesana comprendeva la parte della città di

Pola che si estendeva dal ponte della ferrovia fino al confine con Stignano, con alcuni isolati gruppi di case in Valdinaga, Montegrande e Tivoli, il tutto affidato

alle cure del dott. Giovanni Padovan, medico civico, coadiuvato da un agente stipendiato.

Oltre ad alcune aree dell’Istria meridionale, la campagna antimalarica del 1903 interessò pure l’isola di Veglia. Qui, a differenza dei dintorni di Pola dove le condizioni economiche della popolazione erano decisamente migliori grazie alla presenza del porto militare e delle sue infrastrutture, gli abitanti “si trovavano, in seguito alle devastazioni della filossera e di altre malattie della vite e dell’olivo, nella più squallida miseria”!°, per cui le conseguenze della malaria si presentavano oltre modo gravi frenando ogni possibilità di ripresa economica.

Le pozzanghere erano frequenti giacché, mancando sull’isola perfino i pozzi d’acqua salmastra, servivano da abbeveratoi per gli animali e per gli uomini; soltanto le case dei possidenti benestanti erano munite di cisterne. Nell’azione profilattica furono incluse le località di Bogovich, S. Antonio, Sablich, Strilcich, Turcich, Porto, Vantacich, Micetich e Zindarich, tutte comprese nel comune di Dobasnizza, mentre a causa dei pessimi mezzi di comunicazione esistenti sull’isola l’assistenza medica del dott. Venenzio Bolmarcich, coadiuvato efficacemente da numerosi agenti volontari e da uno stipendiato, avvenne non senza difficoltà.

Il settimo e ultimo “distretto di risanamento” riguardò

il comune di Aquileia e precisamente la località di Beligna e di Belvedere, con le frazioni di Centinara, Marzano, Casa Madonna, Coloredo, Farella, Viola, Casa Basili, e la casa “Domine” appartenente al comune di Grado. Il servizio medico fu prestato dal dottor Giulio Mahrer, medico comunale di Aquileia, coadiuvato da alcuni agenti volontari e da uno stipendiato. Il territorio pianeggiante era solcato da numerosi canali i quali, assieme ai fossati stradali, costituivano dei luoghi ottimali per la riproduzione degli anofeli; un discorso analogo riguardava le abitazioni dove, sotto i lavandini, fra le travi del soffitto coperto da caligine, nei corridoi, sulle scale e nelle stanze da letto, si trovavano numerose zanzare piene di sangue.

In quasi tutte le località, la campagna iniziò alla fine

di maggio con il censimento della popolazione, per il

Saggio

quale si usarono schede fornite dalla Luogotenenza. Ai primi di giugno i medici ricevettero le liste compilate con l’incarico di visitare tutta la popolazione, di fare le anamnesi e, nei casi ritenuti dubbi, di analizzare il sangue per ottenere una diagnosi precisa.

Secondo gli esiti delle visite furono prescritte le dosi

di farmaco da somministrare agli ammalati per la cura, composto esclusivamente da “preparati di chinina

e chinina e arsenico dello Stato in forma di confetti confezionati dietro proposta della Luogotenenza, in parte simili a quelli della Società italiana per gli studi della malaria”!!.

Su eventuali differenze riscontrate nella somministrazione dei due preparati, le relazioni dei medici non ne fanno menzione, benché fosse subito evidente che i confetti

di chinina e arsenico erano preferiti dalla popolazione

per l’ottimo sapore dato dal rivestimento di cioccolato e vaniglia e per l’effetto corroborante prodotto dall’arsenico, sebbene si trovasse in dosi minime.

Quanto ad eventuali disturbi riscontrati nell’uso dei farmaci, avvennero pochissimi casi dovuti all'impiego dell’arsenico, leggere gastralgie che del resto potevano essere anche prodotte dal chinino. Furono inoltre osservati anche degli eritemi, cessati una volta smesso l’uso dei confetti di chinino e arsenico, mentre nel comune di Dobasnizza si osservarono eritemi, tachicardia e vertigini dopo cinque settimane dalla somministrazione dei farmaci. Anche i confetti semplici di chinina produssero talvolta disturbi, specialmente orticaria, la quale tuttavia fu breve e non impedì il proseguimento della cura.

Serie difficoltà furono invece cagionate ai medici e

ai loro agenti dalla somministrazione dei preparati ai bambini, che non potevano o non volevano inghiottire

le pastiglie. “In molti casi la renitenza fu vinta anche

in adulti con la distribuzione di confetti rilevò l’ispettore sanitario provinciale Emilio Celebrini nella sua relazione che dovettero essere messi a disposizione dei medici, perché altrimenti la campagna non sarebbe riuscita. Alcuni medici trituravano delle pastiglie con dell’acqua e sciroppo, altri otturavano ai bambini il naso e introducevano i confetti nella bocca con un po’ d’acqua in un cucchiaio: quando il bambino gridava era segno che le pastiglie erano inghiottite (...) Alcune madri introducevano nella bocca dei lattanti i confetti e quindi davano ai bambini il latte. Nell’impeto dei movimenti di deglutazione le pastiglie scivolavano giù liberamente.

Il medico di Fasana dovette fare uso in alcuni casi delle iniezioni. Il trattamento dei bambini era della massima importanza, perché, come è noto, appunto questi ammalano più di frequente di malaria”.

Nel loro complesso i risultati della prima campagna antimalarica austriaca nel Litorale, i cui costi assommarono a 27.633,02 corone equamente distribuite

di Rino Cigui

La parte meridionale della penisola istriana

tra il governo austriaco e la Giunta Provinciale, furono molto soddisfacenti. Problemi veri e propri furono riscontrati solo nella località di Fasana, dove un numero rilevante di malarici si sottrasse alla cura.

Anche la popolazione, inizialmente alquanto scettica, “fu

lietamente sorpresa del successo, ed in fine era piena di

gratitudine, in qualche località addirittura entusiasta”,

una circostanza che avrebbe certamente agevolato le campagne profilattiche che si sarebbero organizzate negli anni a venire.

NOTE

! Atti della Dieta Provinciale dell’Istria - I sessione del nono periodo elettorale 21 giugno - 15 luglio 1902, vol. I, Parenzo, 1902, p. 83.

2 Idem, p. 84.

3 Bernardo SCHIAVUZZI, “Le febbri malariche nell’Istria

meridionale e le loro complicazioni”, Atti della Società per gli studi

della Malaria, Roma, vol. VII (1907), pp. 189-191.

Mauro GIOSEFFI, “Contributo alla epidemiologia della malaria

nell’Istria meridionale durante il 1905”, I Policlinico, n. 219,

Roma 1906, p. 11.

“Provvedimenti contro la malaria”, Atti della Dieta Provinciale

dell’Istria - I sessione del nono periodo elettorale 21 giugno - 15

luglio 1902, vol. I, Parenzo, 1902, p. 83.

“Relazione dell’i. r. ispettore sanitario provinciale dott. E. de

Celebrini sulla campagna antimalarica nell’anno 1903”, Atti

della Dieta Provinciale dell’Istria - III sessione del nono periodo

elettorale Settembre Novembre 1904, Parenzo, 1905, pp. 3 - 12.

Cfr. Mauro GIOSEFFI, “La malaria nelle terre redente”, L’igiene

Moderna, Genova, n. 12, dicembre 1923, p. 8.

“Relazione dell’i. r. ispettore sanitario provinciale dott. E. de

Celebrini sulla campagna antimalarica nell’anno 1903”, cit., p. 6.

8 Ibidem.

“Relazione”, cit., p. 7.

!0 Ibidem.

“Relazione”, cit., p. 5. Questi preparati erano depositati presso le

farmacie pubbliche dei rispettivi distretti ed erano consegnati dietro

ordinazione dei medici che presiedevano la campagna antimalarica;

per il deposito i farmacisti ricevevano il venticinque per cento sul

prezzo dei preparati.

1? Idem, p. 9.

!3 Idem, p. 11.

Da Pagano a ogg:

architettura, università e città

L'Università Bocconi di Milano ha ricordato (nel

2006 n.d.r.) il grande architetto di Parenzo Giuseppe Pagano-Pogatschnig deceduto a Mauthausen nel 1945, che fu il progettista dell’ Ateneo. Ma già il 2 novembre 1998, la Città di Milano aveva voluto riconoscergli meriti e ricordo al “Famedio” che custodisce le lapidi

a memoria di tanti importanti cittadini. Una doverosa reminiscenza dei valori di chi, con un lavoro intenso

tra gli anni trenta e quaranta, ha concretizzato le opere di sviluppo urbanistico della Milano moderna (Milano Fiera, Quartiere Sempione, Università Bocconi, progetto di Milano verde). Giuseppe Pagano-Pogatschnig, l’uomo dalle grandi intuizioni e delle grandi battaglie per l'architettura razionale era tra i massimi esponenti del razionalismo italiano, ed i suoi meriti ingigantiti dalla sua capacità espositiva: direttore di ‘“Casabella”, la storica rivista di architettura, che con la sua guida fu centro diffusore di idee moderne, avanzate ed a volte in polemica con i potenti del tempo. E Giuseppe Pagano era di tale forza morale da fare accettare le sue proposte anche ad altissimo livello.

Nato il 20 agosto 1896 a Parenzo, in Istria, allora soggetta all’ Austria, il padre Antonio Pogatschnig, funzionario di rango elevato dell’amministrazione asburgica, era archeologo di valore ed animatore del partito nazionale (clandestino) italiano. Per gli studi ginnasiali il giovane Giuseppe fu ospite a Trieste degli Stuparich, amici di famiglia ed il cui nome ricorre nella storia dell’irredentismo. Alla vigilia del conflitto fuggì a Padova, dove si arruolò nell’esercito italiano col nome di copertura Pagano (che negli anni successivi volle abbinato al nome di famiglia). Valoroso ufficiale, meritò tre decorazioni. I suoi familiari, tutti ferventi patrioti, rimasti a Parenzo furono internati nel campo

di concentramento di Goellersdorf. Durante il conflitto fu catturato due volte dagli austriaci che però non lo identificarono e riuscì sempre a fuggire senza essere riconosciuto. E dopo la guerra partecipò con D’ Annunzio all’impresa fiumana. Al rientro nella vita civile si iscrisse al Politecnico di Torino e frequentò 1 corsi della facoltà di architettura guadagnando un anno su cinque: si laureò a pieni voti con lode nel 1924. La villa, oggetto della

Pagano in prigionia

Pagano da vivo

sua tesi di laurea, fu poi realizzata con poche varianti

a Parenzo. All’epoca della sua attività professionale

fu iscritto al partito fascista, ma dopo il 1942 avendo maturato una crisi nei confronti di questa identità politica si dimise dal partito. E successivamente entrò nel movimento socialista e nella resistenza. Arrestato dai tedeschi nel 1943 a Carrara, fu detenuto nelle carceri di Brescia, da dove organizzò una fuga in massa. Più tardi dovette sopportare l’incarcerazione a Milano, a Villa Triste ed a San Vittore e fu quindi deportato a Melk e poi a Mauthausen dove fu sempre incrollabile nel suo ottimismo e nella sua fede nel riscatto e nella libertà. Ferito dalle percosse di un aguzzino, e poi colpito da broncopolmonite traumatica, morì con stoico coraggio all’alba del 22 aprile 1945, proprio alla vigilia della tanto attesa liberazione. Era divenuto una larva umana, di

soli 30 Kg., per il duro lavoro coatto per lo scavo nella montagna di gallerie ad uso militare.

Milano, che lo ha voluto onorare tra i suoi cittadini illustri, in precedenza gli aveva intitolato una strada, di certo non importante come quelle da lui ideate nei suoi piani regolatori, nei pressi del “Monte Stella”, in cui per ironia della sorte gli addetti al settore strade del Comune lo fanno morire già un anno prima, avendo scritto sotto al suo nome “1896 1944”,

Ed ora, nel 120° anniversario della nascita e nel

75° anniversario della fondazione dell’ateneo da lui progettato, il 20 dicembre 2016 1’ Università Bocconi

ha organizzato l’importante incontro “Da Pagano a oggi: architettura, università e città”, moderato dal giornalista del “Corriere della Sera” Pierluigi Panza. Nella introduzione dell’incontro, Bruno Pavesi,

6

consigliere delegato della Bocconi,

Intervento

sottolinea: “Scopo di questa giornata è ricordare la storia e la vita di uno straordinario personaggio, ma anche di ricordare le nostre origini”. Marzio Romani, professore emerito di Storia economica dell’ Ateneo, si è soffermato a sottolineare 1 valori dell’opera di Pagano, certamente all’avanguardia a quel tempo ‘era un edificio dotato di riscaldamento, altoparlanti radio, ascensori, impianti di illuminazione per ambienti diversi. E un lavamani nelle aule, una bizzarria che all’epoca non fu molto apprezzata”. | Barbara Galli, docente al Politecnico di Milano, ha richiamato l’attenzione “sull’aspetto rustico e funzionale” delle creazioni di Pagano. Aldo Castellano, pure del Politecnico, ha evidenziato alcuni aspetti della personalità dell’architetto parentino “aveva

la personalità di un leader, era un forte aggregatore. Certamente da considerarsi il principale apostolo del modernismo italiano”. Mentre lo scrittore Stefano Casciani ne ha richiamato la particolare valenza artistica “I suoi interventi incisivi sono arte in tutti i sensi”. L'incontro è stato occasione per la presentazione

del volume “Architetture bocconiane”, a cura di

Aldo Castellano e Marzio Romani, edito dalla stessa Università Bocconi, con l’ampio percorso evolutivo

dell’ Ateneo nei suoi 75 anni. Nella sua introduzione il presidente dell’ateneo Mario Monti ricordando alcuni personaggi fondamentali nella crescita della istituzione non manca la prima attenzione a Giuseppe Pagano. “... l'architetto fascista, antifascista, martire, morto senza rinnegare nulla delle proprie scelte politiche, è un punto

di riferimento importante per l’evoluzione della cultura architettonica del Paese in senso modernista (e per questo contestato in vita, ma anche dopo)”.

L’opera dell’architetto parentino che avrebbe spaziato

in numerosi campi metteva le iniziali radici a Torino,

da cui prendevano corpo i primi riconoscimenti. E

nello stesso periodo, anni trenta, incrociava le sue

idee con quelle di un altro architetto parentino pure di base a Torino, Umberto Cuzzi. E di uve entrambi si trova traccia in progetti architetturali di interni e di mobili. Nel 1936 emerge all’attenzione la progettazione del nuovo elettrotreno d’eccellenza della Breda, ETR

200, dalla confortevole accoglienza per i viaggiatori, antesignano dei moderni treni ad alta velocità. Tra gli impegni di prestigio sviluppati da Giuseppe Pagano, che nei primi anni pria

di Ferruccio Calegari

di attività a Torino vinse il concorso

per la realizzazione di due ponti sul

Po, di rilievo la partecipazione alla realizzazione delle grandi esposizioni dell’epoca. Nel 1927 è a capo dell’Ufficio Tecnico della “Esposizione internazionale di Torino del 1928”, di cui sarà progettista di numerosi padiglioni. Nel 1930 la realizzazione (con Levi Montalcini) del Padiglione Italia alla Mostra di Liegi. Nel 1936 partecipa all’allestimento della VI Triennale di Milano. Nel 1937 partecipa

alla direzione dell’allestimento interno del padiglione italiano all'Esposizione di Parigi. Nel

1940 alla VII Triennale di Milano allestisce la Mostra della produzione in serie. Nel 1941 durante la campagna militare tra Albania e Grecia idealizza un “Piano turistico della Dalmazia”. Una mente fervida, aperta al nuovo ed al futuro, con attenzione al bello

ed al funzionale (razionalismo), di cui riprendiamo,

per meglio comprenderne idee e soluzioni, la parte introduttiva dell’articolo che pubblicò in “Casabella” n. 170-171 (febbraio-marzo 1942) con le sue considerazioni sulla realizzazione della Università Bocconi di Milano. Abbiamo tralasciato la dettagliata descrizione dei diversi elementi progettuali, importanti ed interessanti, ma che al momento andrebbe oltre alle esigenze legate al ricordo del personaggio e dei suoi valori.

Idealista nella concretezza La Nuova Sede della Università Commerciale Luigi Bocconi

Nella storia dell’architettura credo che ogni edificio rappresenti un piccolo o un grande dramma.

Il dramma in generale si svolge tra il committente e l’architetto. Ma tra queste due persone principali si inseriscono spesso altri personaggi favorevoli o contrari

al lieto svolgersi degli eventi, strane circostanze, fatali influssi celesti, disgrazie o fortune, accidenti o benedizioni. Bisogna premettere che 1’ Università ... forte di una

sua vita autonoma in continua evoluzione, non poteva più vivere

nel suo vecchio edificio, angusto ed ormai superatissimo, pur essendo stato costruito nel 1904.

... Il presidente della Bocconi, Senatore Giovanni Gentile, inserì

Francobollo per il centenario delle ferrovie, col treno Breda di Pagano

@ CAMRTTI

Intervento LA RICERCA N. 71...GIUGNO 2017 { s

di Ferruccio Calegari

a schemi essenziali, distrutti i cortili chiusi, eliminate tutte le esigenze superflue e data maggiore sincerità a tutta l'architettura, il nuovo progetto venne allestito come una definitiva e vittoriosa liberazione.

a Alla fine di settembre si iniziavano gli scavi, nel gennaio del 1938

si piantavano i primi pali di fondazione. Naturalmente le intenzioni artistiche non vollero poterono abbandonarsi a divagazioni rischiose ad esperimenti costosi. Il controllo architettonico si polarizzò soprattutto in una ricerca di unità concreta e serena, accettabile come pura dimostrazione di logica ed adatta ad una Università che non

ha pesi di tradizioni negative e che ospita studenti civilmente orientati già: sul ritmo spirituale e morale della

vita contemporanea. Questo evidente

desiderio di armoniosa semplicità,

nell’accordo col Municipio una piccola frase: che il nuovo progetto sarebbe stato esaminato da un architetto di sua fiducia da nominarsi all’atto della presentazione dei disegni.

E quando l’Ufficio Tecnico Comunale presentò finalmente il progetto egli volle dare a me questo spiacevole incarico. Spiacevole, perché il progetto iniziale non rappresentava niente di sopportabile, anche se fosse stato sfrondato dei suoi vistosi attributi decorativi. Lo schema planimetrico col suo cortilone chiuso, con gli ingressi a smusso, con le sproporzionate altezze dei suoi corpi accidentati è abbastanza eloquente. Il consulto non poteva essere che negativo e pareva ormai che tutto dovesse finire così. Ma per effetto di quelle buone stelle che proteggono talvolta il destino delle

cose, l’ing. Giuseppe Baselli, direttore dell’ Ufficio questo abbandono di ogni senso di clausura, questa fiducia Tecnico Comunale di Milano, non volle puntare sul nella buona educazione del prossimo e questo ottimismo progetto allestito da un suo funzionario e accettò che verso la gioventù ha dato a me ed al mio collega [Gian l’Università scegliesse liberamente tra quello ed una mia Giacomo Predaval, n.d.r.] molte innegabili soddisfazioni, eventuale nuova proposta sulla stessa area. più che sufficienti per credere che questo nostro lavoro Scelta dal Consiglio di Amministrazione dell’ Università possa rappresentare una dimostrazione di quel clima civile la mia soluzione, affrontai la commissione edilizia che un’urbanistica veramente aggiornata dovrebbe creare in municipale persuadendola alla concessione di un’area ogni angolo delle nostre grandi e piccole città.

leggermente più vasta che potesse permettere un maggiore (estratto da “Casabella” n. 170 - 171, respiro e un migliore inquadramento urbanistico, studiai febbraio-marzo 1942)

una sistemazione più razionale, cercai di conoscere e di risolvere meglio i bisogni della scuola ed allestii, completo NOTE BIBLIOGRAFICHE ESSENZIALI e dettagliatissimo, il terzo progetto che venne presentato Pagano - architettura e città durante il fascismo a cura di C. De Seta,

a tutti i crismi ufficiali e che giunse persino agli onori Editori Laterza, Roma-Bari, 1990. o A. Bassi, A., - L. Castagno, “I designer” Giuseppe Pagano, Editori

cd appalto. Ma non era ancora la volta buona. Laterza. Roma-Bari, 1084,

L'irrazionalità dei cortili, la pesante sproporzione F. Brunetti, Giuseppe Pagano - L’università Bocconi di Milano,

delle scale e dei corridoi, la complessità dei servizi Alinea Ed., Firenze, 1997.

mal dislocati e soprattutto una monotona compattezza I A N . . ; a oggi: gli edifici raccontano la storia di una università, Università

esteriore che poteva soddisfare soltanto le auliche Bocconi Editore, Milano, 2016.

esigenze delle commissioni governative, mi pesavano Il Pantheon di Milano a cura di G. Taborelli - R. Santucci, Chimera

sulla coscienza come duri rimorsi. Tanto più che nel Editore, Milano, 2005.

frattempo avevo scoperto meglio i veri _ l PAGINE SPARSE

bisogni della scuola, le vere condizioni urbanistiche della zona, le necessità e le abitudini di una economicissima gestione, la opportunità di limitare certe esigenze entro programmi più ragionevoli, e soprattutto l’occasione di ottenere

dalla nuova architettura qualcosa che dicesse una parola più libera e meno convenzionale.

Rimodellato l’edificio, ridotta la pianta

L'architetto littorio che finì in un lager, C. Fabrizio Carli, Il Giornale, Milano, 22 aprile 1995.

Il Pantheon dei milanesi illustri, Corriere della Sera, Milano, 7 giugno 1998.

Civiltà dell’abitare, F. Irace, Il Sole 24 ore, 29 novembre 1998.

Fascista, antifascista, infine martire, le tre vite di Giuseppe Pagano, Corriere della Sera, Milano, 21

i dicembre 2016.

L'esterno del Famedio di Milano

..GI( GNÙ ZUI /

Controllo della rete ferroviaria

istriana nel biennio 1919/20

Con la firma dell’ Armistizio di Villa Giusti, il 3 novembre 1919, si sanciva la fine delle ostilità fra

il Regno d’Italia e l’ormai morente Impero austro- ungarico. Iniziava così per la penisola istriana una nuova epoca politica, che vide la regione essere prima occupata, e poi ufficialmente incorporata, nello stato italiano. Questa nuova condizione geopolitica portò

a nuove problematiche con le quali confrontarsi, fra

cui spiccava quella legata alle relazioni con il vasto numero di abitanti slavi (croati e sloveni) risiedenti nei territori. Inoltre, con la nascita del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (Regno SHS) si creò un evidente attrito fra i due stati poiché nessuno voleva concedere troppo spazio d’azione al proprio vicino, soprattutto

nel periodo 1919 - 1920, ossia prima della firma del Trattato di Rapallo, in quanto il governo italiano

non aveva ancora legittimato davanti alla comunità internazionale il possesso dei nuovi territori.

Tale incertezza rese le autorità molto caute riguardo alla situazione in Istria, si temeva una possibile rappresaglia, anche sotto forma di una vera e propria guerra!, da parte del Regno SHS.

Di conseguenza, il governo non perse tempo a preparare una strategia di difesa in caso di un eventuale attacco, concentrando i propri sforzi sulla tutela delle ferrovie e sull’aumento del livello di controllo di tutti gli elementi slavi considerati pericolosi.

Per quanto riguarda il distretto di Pola, il pericolo più serio, sempre secondo le autorità, proveniva dai centri rurali attorno a Canfanaro e Sanvincenti. Sembrerebbe, infatti, che già nell’ottobre 1919 i croati di Canfanaro si stessero preparando ad appoggiare un’eventuale azione Jugoslava contro l’Italia per Fiume. Inoltre, nella stessa lettera recapitata dal Commissario Generale Civile della Venezia Giulia ai vari comandi dei carabinieri istriani, si aggiungeva che simili preparativi fossero in atto anche attorno a Parenzo e Pirano?. Nel corso del 1920, soprattutto durante l’estate, in base al numero

di lettere urgenti e riservate fra i vari enti regionali,

La stazione ferroviaria di Pola nei primi anni del XX secolo

appare chiaro il livello di controllo che le autorità svolsero nei confronti della popolazione croata e slovena. Infatti, diverse volte circolarono missive che annunciavano azioni violente organizzate da elementi Jugoslavi estremisti. Per esempio, il 10 luglio 1920 veniva riferito ai comandi dei carabinieri che almeno 500 fucili con rispettive munizioni erano stati trasportati dal Regno SHS oltre la line dell’armistizio ed erano pronti ad essere usati in qualsiasi momento. Solo

due giorni più tardi, il 12 luglio, una nuova lettera

Tratto della ferrovia a scartamento ridotto Parenzo-Trieste nei pressi di Isola

Saggio

LA RICERCAN. 71...GIUGNO 2017 / È

di Diego Han

invitava tutti i commissariati in regione a fornire un elenco degli elementi “realmente pericolosi” per la sicurezza pubblica*, mentre il 16 luglio in una riservata speciale si diffondeva la notizia che imminenti disordini organizzati da “elementi estremisti” fossero stati pianificati in riunioni segrete fra Sanvincenti, Dignano e Gallesano?. Come risultato, il 20 luglio la postazione dei carabinieri di Canfanaro era già in grado di fornire i nomi di undici sospetti agitatori jugoslavi, dei quali cinque dovevano essere arrestati immediatamente

nel caso fosse scoppiata una rivolta, mentre secondo

la postazione di Leme nella sola località di Villa di Rovigno ce n’erano ben 12°. Comunque, queste liste

di persone potenzialmente pericolose per la sicurezza pubblica giravano fra le caserme e i commissari pubblici già dall’inizio dell’anno, alcune volte segnalando anche movimenti politici ben organizzati

e pronti a tutto, fra i quali si distingueva la famigerata “Legione della morte” in Slovenia. Ci furono persino notizie riferenti che fra le fila dell’esercito italiano circolassero elementi serbi pronti a diffondere idee anti italiane”. Inoltre, secondo le autorità c’era ancora un gruppo di persone che rappresentava un pericolo per la sicurezza pubblica: si trattava del clero. Infatti, in una lettera inviata dal Commissario Civile di Pola

ai comandi dei carabinieri regionali, proprio il clero

è segnalato come il principale propagatore della politica jugoslava in Istria, soprattutto perché nelle zone rurali esso era composto quasi esclusivamente

da persone di nazionalità slava. Comunque, viene anche ribadito dal Commissario come sia necessario raccogliere ulteriori prove concrete che dimostrino

il loro coinvolgimento nei fatti descritti, nonché sia indispensabile cercare di creare un rapporto di amicizia in modo tale da poter ottenere informazioni utili per sventare eventuali disordini*. Questa allerta andò nel corso dei mesi ad alternarsi con notizie più rassicuranti, come nel caso della lettera inviata dal tenente della caserma di Pola ai vari commissari civili, nella quale

li ringraziava per il loro aiuto, facendo nel contempo capire che spesso le notizie di possibili disordini fossero solamente voci fatte circolare da persone che volevano creare paura e allarme fra le autorità italiane’. Similmente, anche da Dignano le forze dell’ordine segnalavano il 6 luglio che “lo spirito è calmo e non c’è propaganda anti italiana”, affermazione confermata pure il 10 settembre sostenendo che in città non ci

sia “propaganda jugoslava”!°. Comunque, il livello

di allerta variava a seconda dalla situazione politica vigente in una data zona. Difatti, il 19 settembre il capo del Corpo d’ Armata di Trieste menzionava un

Le reti ferroviarie e stradali in Istria

“conciliabolo” tenutosi a Gorianska (Slovenia) secondo il quale l’insurrezione poteva essere vicina e poteva esserci dietro pure il movimento dello stato SHS!!, mentre il 2 ottobre 1920 il Commissario Civile di Pola fece circolare fra tutte le caserme istriane una riservata speciale nella quale si parlava di un ‘vero arsenale di armi e munizioni, specialmente bombe a mano, fornite dalla Divisione della Drava” pronto all’uso che si trovava nella località di Ziri/Ziri (Slovenia). Inoltre, il Commissario insisteva sul fatto che ciò dimostrasse come la linea dell’armistizio fosse molto porosa, oltre la quale potevano passare indisturbati sia uomini sia armi. In risposta a tale lettera, i carabinieri rovignesi replicarono che non c'erano nella tenenza segni di un’intensificazione della propaganda jugoslava e che gli “slavi erano fedeli alle proprie tradizioni, ma niente più”!

Comunque, le autorità non si limitarono certamente al solo controllo dei possibili sospetti anti italiani presenti in Istria. Durante il 1920 l’idea di un attacco militare del Regno SHS, con l’apporto di azioni sovversive portate avanti da elementi jugoslavi già infiltrati sul territorio, era spesso considerata più che una semplice ipotesi, pertanto diventava essenziale essere pronti a difendere

i territori appena conquistati. A tale scopo tra i comandi

dei carabinieri istriani fu fatta girare una circolare con la quale si richiedeva una stima del tempo necessario per preparare la militarizzazione delle stazioni ferroviarie, punti di comunicazione cruciali da difendere in caso di un’azione nemica. Per quanto riguarda la postazione di Rovigno, ad esempio, la stima si aggirava sulle sei ore necessarie ad allestire le difese e predisporre le forze armate per uno scontro. Inoltre, nel settembre dello stesso anno, la Legione Carabinieri Reali di Trieste preparò un progetto in due fasi per il ripiegamento

di tutte le stazioni dei carabinieri in regione nel caso

di uno sbarco nemico, cioè: 1) il ripiegamento delle stazioni sui Comandi di Ufficiale più vicini, dove i militari convenuti (per numero) dovevano poter opporre “una prima ed energica resistenza”; 2) il ripiegamento sui Comandi di Compagnia, ma solo in caso di “assoluta necessità e per ordine Superiore””!3. Come si evince da questi esempi, le ferrovie rappresentavano per le autorità un punto essenziale da difendere in caso di eventuali scontri armati con delle forze nemiche esterne. Quello che nel 1919/20 preoccupava il governo regionale, erano le possibili conseguenze che uno sciopero generale indetto dagli operatori ferroviari avesse potuto creare!*. Infatti, codesti anni oltre ad aver procurato alle autorità una certa smania riguardante possibili invasioni nemiche, segnò nel contempo

anche l’inizio dei primi veri e violenti scontri di piazza fra i sostenitori del fascismo da un lato, e i socialisti dall’altro. Fu proprio il 1920 l’anno che vide cadere le prime vittime di questo scontro nelle piazze istriane, e non è sicuramente un segreto il fatto che le autorità non vedessero di buon occhio i “bolscevichi”, sostenendo più o meno apertamente la corrente fascista. Essendo spesso i socialisti visti come elementi anti italiani, anche grazie al considerevole numero di croati e sloveni che aderirono al movimento, ed avendo loro una forte influenza sulla classe operaia, bisognava controllarli

ed evitare che agissero contro gli interessi del Regno. In un tale contesto, era necessario assicurarsi che i socialisti non riuscissero in nessun modo a bloccare

il funzionamento di un’arteria di comunicazione fondamentale quale era la ferrovia. Il forte scontento presente fra i ferrovieri veniva ribadito nel febbraio del 1920 in una lettera del Tenente Colonello Squillero,

a capo della divisone dei Carabinieri Reali di Trieste, inviata a tutti i comandi della regione, nella quale scriveva che gli operai erano pronti ad indire uno sciopero generale per poter riottenere l'applicazione delle norme ottenute sotto l'Impero austro-ungarico, considerate molto più favorevoli di quelle vigenti

nel nuovo stato!. Però, bisogna evidenziare che già

il 19 gennaio 1920, il Comando di Stato Maggiore della zona di Trieste aveva fatto circolare una missiva urgente nella quale si spiegava in che modo occupare militarmente tutte